Pagine

marzo 10, 2003

Giappone docet


Per rinfrescare la memoria c'e' da dire che la Columbia, con i suoi numerosi sottoinsiemi e addentellati, e' una delle cosiddette major discografiche che in cinquant'anni hanno monopolizzato tutta la musica non classificabile, quella non studiata a tavolino per un mercato, quella autentica, quella che sgorga dalle viscere prima che dal cuore o dalla mente. Di culturale e filantropico la Columbia ha ben poco da spartire (diciamo niente) e dunque non spende certo i suoi soldi in progetti che non possano rendere un adeguato guadagno.
E allora la domanda sorge spontanea...
Perche' mai la Columbia ha pubblicato e presumibilmente prodotto un disco di musica tradizionale (sicuramente non l'unico), quando in altri paesi (uno a caso: il nostro) non si e' nemmeno lontanamente sognata di farlo? Lasciando il mercato della musica popolare e tradizionale (che lentamente e faticosamente ha raggiunto solo oggi dimensioni importanti), stracciato e maltrattato da un mercato della musica leggera a senso unico in grado di monopolizzare la distribuzione, facendo così scomparire la musica popolare (quella dei nostri nonni)?
Il Giappone e' un mondo  lontanto dal nostro, lontanissimo e per certi versi incomprensibile, ma una cosa con il nostro ha in comune: la sua progressiva americanizzazione che ha raggiunto livelli
molto, molto piu' alti e dirompenti del nostro, creando anche là modelli culturali forti. Ma il Giappone sappiamo avere anche una profondissime e lontanissime tradizioni, tutt'oggi sorrette da grandi feste e parate che coinvolgono milioni di persone.
E alla fine le ipotesi plusibili sul perche' una grande società come la Columbia pubblichi musica popolare giapponese, si restringono a due.
La prima risposta e' che le istituzioni giapponesi abbiano, nel corso del dopoguerra, sostenuto e promosso il mercato della musica popolare, parallelamente all'altro e che oggi esista un mercato di musica popolare forte, interessante anche per una major discografica come la Columbia.
La seconda risposta, forse la piu' affascinante e vera, e' quella che vede la tradizione popolare giapponese talmente forte e radicata, con la volontà da parte dei padri e dei nonni di tramandarla di padre in figlio, da non essere scalfita da un mercato becero e arrogante come quello della musica di consumo e anzi, alla fine, così forte che ha potuto interessare anche le major discografiche.
Il risultato e' comunque che la musica tradizionale, in Giappone, non vive come una Cenerentola in perenne stato preagonico, ma e' ben presente nella mente dei cittadini di tutte le età  nella loro vita quotidiana, come sarebbe giusto che fosse in ogni società moderna che avesse a cuore la propria memoria culturale.

Nessun commento: